Franco Mitrione |
“I concetti senza intuizioni sono vuoti.
Le intuizioni senza concetti sono
ciechi”.
-Immanuel
Kant-
Quel pomeriggio mi recai in
ritardo presso il locale in Meta nel quale, da qualche tempo stavamo realizzando
le scene per una commedia di Eduardo.
Appena arrivato gli amici mi
dissero che pochi minuti prima era venuto Franco e, non trovandomi incaricò i
presenti di consegnarmi il nuovo numero del suo giornale: “dove sta Zazà ?”. Poi,
giunta sera, una telefonata…
E da allora non abbiamo mai più
rivisto Franco Mitrione.
La scorsa domenica 3 marzo,
presso la mia abitazione, è venuta a farci visita Chiara: la moglie, portandomi
in visione un piccolo libro avente per copertina la riproduzione di un quadro
dipinto da Franco.
Paesaggio invernale |
Confesso che dinanzi a
quella insolita immagine mi sono sentito: stranamente spiazzato, poi, la mente,
presami per mano, mi ha immerso in quell’inquietante paesaggio invernale ove
strada e cielo vicendevolmente rimbalzano il loro marmoreo, malinconico
grigiore.
In fondo a quell’immagine, due
cubiche case, aventi facciate di color giallo ocra e rosso ruggine, dotate di
quattro piccolissimi fori a mò di cieche finestre e, sul tetto di una di quelle
case (?) un quasi diruto camignolo, da tempo immemore della sua naturale
funzione.
Canto intuito e malinconico
dell’animo, testimoniato anche dall’alto, sfrondo albero posto al margine
sinistro del dipinto e dal muro –vegetazione- piastra figurante al lato destro
del quadro.
E intanto, al centro di quella
strada “in salita controvento” una infagottata figura femminile, incurante di
ogni prudenza, dissennata, avvilita e smarrita, avanza sotto un ombrello nero
–sapido di simbolismi maschili- avviandosi freddolosa verso quelle case (?).
Tutt’oggi mi chiedo quali
intenzioni o preveggenza hanno mosso la mano di Franco per dar forma e toni a
quella inusitata immagine: inquietudini di natura privata o sociale?
Ebbene, sin dall’ inizio degli
anni novanta, allorquando i Mitrione vennero ad abitare in Penisola Sorrentina,
la passione politica di Franco fu subito ben nota a tutti.
Ricordo il mio primo incontro
avuto con lui; il suo arguto sorriso incorniciato da una marxista barba e
capelli raccolti sotto un cappello a falda larga.
Convinto comunista, sempre in salita
controvento, eternamente impegnato in giuste battaglie politiche, urbanistiche,
ambientaliste e giornalistiche e, per tali motivi, fatto spesso bersaglio “con
livorosi sassi metesi” lanciati da discussi politici e da loro orbitanti
galoppini non privi di inconfessati interessi personali.
Dai tanti, definito persona
scomoda, da intimidire –o peggio- da denunziare.
Dai pochi, invece, ritenuto
persona giusta, onesta e coerente al massimo con la propria innata etica
morale.
Ma, rammentò Benigni: “la folla ama
Barabba”. E la condizione in cui ora versa l’Italia ne è atroce, esiziale
conferma.
E mentre tutt’ora permango
sospeso e medito sulla natura equivoca dell’espressione artistica, riscontrata
anche nel quadro qui in parola (concetti/intuizione di natura personale o
sociale?), nel contempo amo ancora immaginare Franco finalmente sereno e
socraticamente disteso, su d’una sdraio a guardare il meraviglioso panorama che
si gode dal suo ampio terrazzo in Meta.
E’ li, ormai silente e senza
alcun tedio, in compagnia di due golosi barattoli di Nutella e dei tanti suoi
amatissimi fiori, odorosi di notti estive, intento a rimirar il cielo stellato
e la legge morale che sin dal principio s’incarnò nel laico petto di Franco
Mitrione.
Gaetano Rancatore
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